Troppa medicina. A dieci anni dall’editoriale in cui chiedeva – provocatoriamente, all’epoca, e con il punto interrogativo – se non ci fosse un eccesso di medicalizzazione della vita quotidiana, il British Medical Journal torna sull’argomento con una campagna in cui ogni dubbio è oramai scomparso, giacché gli eccessi, inutili e spesso perfino dannosi, sono sempre più numerosi. «Ci sono un sacco di motivi per celebrare nella medicina e nella sanità, ma è anche vero che il troppo stroppia» commenta in un editoriale la editor in chief del settimanale britannico Fiona Godlee.

Dal 2002, quando il Bmj pubblicò un numero affidato al guest editor Ray Moynihan, un giornalista investigativo australiano autore di numerose inchieste, «le prove degli eccessi medici nei paesi ricchi hanno continuato ad accumularsi, con un incremento della documentazione inequivocabile sui danni e sui costi degli interventi inutili». Dopo quella prima presa di posizione, anche al di là dell’Atlantico si sono mossi in molti, e in tempi recenti sono state avviate due iniziative che stanno cominciando a lasciare il segno: «Colpiti dalle due iniziative “Less is more” (meno è più) della rivista Jama internal medicine, diretta da Rita Redberg, e dalla iniziativa “Choosing Wisely” (scegliere con saggezza” messa in piedi dall’American Board of internal medicine foundation, vogliamo esplorare le cause e i potenziali rimedi dell’eccesso di esami, di diagnosi e di terapie» spiega la Godlee. Alcuni esempi sono citati in un altro editoriale firmato insieme a Ray Moynihan e altri esperti: «Nell’ottobre dello scorso anno, per esempio, un’importante investigazione ha scoperto che una donna su cinque che riceve diagnosi di cancro della mammella non avrebbero avuto alcun danno da quel tumore. In dicembre, il presidente della task-force del Dsm-IV (Diagnostic and statistical manual of mental disorders) ha messo in guardia contro il rischio di “massiccia sovradiagnosi e dannosi eccessi terapeutici” conseguenti alla continua espansione delle definizioni di disturbo mentale – per esempio trasformando i sintomi fisici del cancro o delle malattie cardiache in un disturbo psichiatrico chiamato “somatic symptom disorder” – nella quinta edizione del manuale, in uscita a breve. I dati suggeriscono» si legge ancora nell’editoriale del Bmj «che esiste un problema più o meno marcato di sovradiagnosi in un’ampia gamma di condizioni diffuse, tra cui il cancro della prostata e della tiroide, l’asma, nefropatia cronica, e attention deficit hyperactivity disorder». Addirittura, secondo questi esperti la sovradiagnosi sembra oggi diventata la norma, e non più l’eccezione: «Questo è rilevante perché una volta che le persone vengono etichettate con una diagnosi segue una cascata di conseguenze mediche, sociali ed economiche, alcune delle quali permanenti. L’etichetta medica e la conseguente terapia comportano un pedaggio emotivo e finanziario per l’individuo, con anche costi per il sistema sanitario».

BMJ. 2013 Feb 26;346:f1271

Nota personale: tutto questo riprende il discorso già più volte qui affrontato che, per quanto concerne la mia branca, interessa la diagnosi ed il trattamento del tumore prostatico. Un accanimento nella ricerca di un tumore che in buona parte dei casi non darà segno di sè o che potrebbe essere trattato con terapia conservativa e non demolitiva che altera in maniera inequivocabile la qualità della vita.