La Suprema Corte ha confermato la sussistenza del reato di concussione addebitato al Direttore dell’Unità Operativa, titolare del potere di stabilire il “piano operatorio”, il quale aveva utilizzato o tentato di utilizzare i poteri decisionali per uno scopo diverso da quello, per cui era stato investito, prospettando ai pazienti la possibilità, in alternativa all’intervento condotto in regime ospedaliero ordinario e gratuito, soggetto a lunghe liste di attesa, di un intervento intramoenia con possibilità di scegliere l’equipe chirurgica di propria fiducia, dietro pagamento all’azienda di una ingente somma, metà della quale destinata al Direttore dell’Unità Operativa, ovvero di un intervento condotto da lui personalmente, facendo figurare comunque il regime ospedaliero gratuito, a condizione però che gli fosse corrisposta direttamente e in contanti una somma di danaro da versare dopo l’intervento – di solito inferiore rispetto a quella prevista per gli interventi intramoenia – e che venisse sottoscritta una lettera, da cui doveva risultare contrariamente al vero che tale dazione era una spontanea iniziativa dei soggetti operati, destinata ad opere di beneficenza.
In altre occasioni il predetto, sempre nella qualità, si faceva consegnare, pur senza aver esercitato pressioni, dai pazienti operati in regime ospedaliero ordinario gratuito, una somma di danaro non dovuta per l’attività da lui espletata in adempimento di un atto del proprio ufficio, così come si adoperava per sollecitarli a promettere o a versare una somma di danaro in cambio della sua prestazione. L’induzione, sufficiente per la configurazione del reato di concussione [di cui all’art. 317 c.p.], sussiste anche in presenza della sola richiesta di compensi indebiti da parte del medico, preposto al servizio pubblico sanitario, rivolta a persone malate o ai loro familiari, dal momento che questi soggetti si trovano particolarmente indifesi di fronte ad un medico, dalle cui prestazione dipende la conservazione di un bene fondamentale, quale la salute. Nella fattispecie si è di fronte a condotte che, così come ricostruite in sentenza, configurano una induzione che, com’è noto, non è vincolata a forme predeterminate e tassative, potendo concretizzarsi anche in frasi indirette ovvero in atteggiamenti o comportamenti surrettizi, che si esplicitano in suggestione tacita, ammissioni o silenzi, purché siano idonee ad influenzare la volontà della vittima, convincendola dell’opportunità di provvedere al pagamento indebito richiesto.
Nel panorama attuale della sanità mi capita di sovente di visitare pazienti visti da altri colleghi che con pressioni di vario tipo (urgenza! il più delle volte non effettiva) o lungaggini (liste di attesa di oltre 10 mesi!) o reparti dimezzati o chiusi (più o meno vero talvolta) dirottano il paziente ad interventi privati. Ancora vengono proposte metodiche di cura per il tumore della prostata con sistemi non proprio validati e che di fatto (lo vediamo adesso) sono costretti a reinterventi nel giro di poco tempo. Tali metodiche vengono a questo punto proposte “in convenzione”, come se alla fine non paghissimo lo stesso noi! Sentenze di questo tipo colpiscono le storture del sistema ma sono solo una goccia nel marasma della sanità.