Lo sostiene Giovanni Gandini, direttore radiologia dell’ospedale S.Giovanni Battista di Torino e presidente del 45° congresso della Società italiana radiologia medica (Sirm). “In Italia si fanno ancora troppi esami diagnostici, spesso impropri. E la colpa è soprattutto della medicina difensiva. Mentre sarebbe più corretto indicarli quando sono realmente necessari, questo per salvaguardare le liste d’attesa e i costi di queste prestazioni per il Servizio sanitario nazionale”.
Oggi in un pronto soccorso di una grande città sul 90% dei ricoveri o degli accessi in area di emergenza-urgenza si procede sempre con un esame radiologico. Spesso si utilizzano esami che richiedono l’utilizzo di mezzi di contrasto con potenziale danno renale, ma basta una firma di accettazione del paziente nel consenso informato per mettere tutto a posto e evitare di perdersi delle diagnosi rare, ma che se avvengono, determinano l’immediata dednuncia del medico.
Nel mondo urologico il PSA determina fonte di stress per il paziente e per il medico che spesso si vede “costretto” ad eseguire o far ripetere agobiopsie prostatiche nel timore di vedersi “sfuggire” una diagnosi che in moltissimi casi non sarà quella a portare al decesso un uomo. Si arriva al paradosso di fare eseguire biopsie
prostatiche a 78 e più anni per fare diagnosi ben consapevoli che il paziente nella maggior parte dei casi NON eseguirà alcun tipo di trattamento anche in considerazione delle recenti linee guida dove la “sorveglianza attiva” è opzione pressochè assoluta di scelta.
Troppi esami diagnostici impropri per medicina difensiva
